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Sei Sicuro Che Non Ti Piaccia il Jazz?

La copertina di Omaggio a Lucio Battisti in Jazz

Nonostante gli appassionati, i suoi splendidi autori e i suoi spettacolari musicisti, è innegabile che il Jazz, come genere musicale, non gode di buona fama, anzi di diciamo che non gode di una fama pop. Ad una persona X, magari puoi anche riuscire a farglielo ascoltare questo benedetto Jazz, ma non dirgli mai di che cosa si tratta realmente; devi farglielo ascoltare senza dirgli che cos'è, altrimenti rifugge il genere prima ancora che parti una nota.


Non chiedermi da cosa nasca questo pregiudizio, anzi so benissimo da cosa nasce. Dal dopo guerra ad oggi, dev'essere accaduto un corto circuito per cui è passato il messaggio che il Jazz è musica colta, sinonimo di musica pesante da digerire: questo può essere anche comprensibile, il Jazz è ricco di virtuosi e di stili  che talvolta sono veramente astrusi ai più.

Ma nella sua vastità della sua storia, che è breve ma intensa, il Jazz offre un milione di soluzioni diverse, di ritmi di sonorità e di atmosfere che è veramente un peccato lasciarlo perdere e non considerarlo.



Un classico esempio tra i molti, in realtà, in cui il Jazz è un genere facilmente digeribile, ascoltabile e persino ricco di sorprese è questo piccolo, semplice capolavoro di album che il Massimo Faraò Trio ha realizzato per conto dell'etichetta PLAYaudio. I Giardini Di Marzo, Omaggio A Lucio Battisti In Jazz fa parte di un progetto di largo respiro di questa giovane etichetta che ha commissionato al terzetto jazz un catalogo di brani pop, di musica leggera come si soleva dire, rivisti ed ri-arrangiati in chiave Jazz, anzi smooth jazz.

Il risultato finale ha qualcosa di stupefacente. Tolte dal loro contesto, le musiche scritte da Lucio Battisti e private delle liriche di Mogol prendono nuova vita e nuova forma, trasmigrano in qualcosa di più intenso, come un profumo rarefatto che comunque riempie gradevolmente l'ambiente.



Chiamarle musiche di atmosfera, da sottofondo, lo trovo riduttivo e non fa giustizia a Massimo Faraò, Nicola Barbon e Marco Tolotti che estraggono dai loro strumenti suoni e melodie facilmente decifrabili, ma che sono in realtà uno studio di sintesi sulla composizione dei pezzi (non una semplificazione).

Il risultato lo si percepisce e si apprezza proprio in questo. Non si tratta di una semplice trasposizione meccanica, ma di una sentita rilettura musicale, liscia e gradevole che non tradisce la spontaneità delle tracce originali. Un'album che merita d'essere ascoltato.

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